Vivian Maier – L’osservatrice invisibile

Una bambinaia che fotografa per diletto, una donna che si aggira per le strade di Chicago con la sua Rolleiflex al collo e vive il mondo circostante raccontandolo a modo suo, un’inusuale osservatrice della realtà attorno alla quale continua ad alimentarsi il dibattito se sia da considerarsi una fotografa a tutti gli effetti oppure no. In verità, Vivian Maier sarebbe rimasta nel dimenticatoio e con lei tutta la sua produzione, se non fosse stato per John Maloof e la tenacia della sua ricerca sul materiale fotografico rinvenuto ad un’asta.

Ma chi era Vivian e cosa si celasse dietro il suo volto in apparenza imperturbabile possiamo tentare di comprenderlo calandoci dentro la sua grafia e tratteggiandone un ritratto “umano” che dia completezza ad una figura sfuggente che, proprio perché non più in vita, non potrà raccontarci nulla di sé se non attraverso il lascito indiretto della sua arte.

Il tracciato preso in esame è scarno, aderente al modello corsivo e quindi poco personalizzato; ad alcune parole scritte con più cura e lentezza si susseguono altre più affrettate, quasi “gettate via” e questa variabilità impulsiva e non ponderata definisce anche repentini mutamenti dell’inclinazione (dritta/inclinata a destra) e del calibro letterale (alternanza tra ovali grandi/piccoli). C’è una ricerca di chiarezza e di ordine che però sembra sfuggire: i frequenti stacchi tra le lettere o addirittura interni alle lettere (ad es. la d frammentata in due parti) suggeriscono un’esigenza di analisi spinta fino alla scomposizione del dettaglio. Partendo dai dettagli la Maier prova ad ottenere una sintesi che non è mai quella da lei desiderata sicché finisce per prevalere un inappagamento che strenuamente rinnova la sua indagine del visibile.

La bambinaia che fotografa cerca fuori per pacificarsi con ciò che si muove dentro, si isola attraverso una sorta di gesto catartico che la introduce in una bolla protetta dove c’è solo lei e l’azione dello scattare; diventa compulsiva perché tenta di trattenere, rapinare, accaparrare attimi di vita altrui di cui lei vorrebbe forse far parte. Il suo è un atto di sublimazione di una solitudine e di un senso di incomprensione che avverte quotidianamente: necessita di prender parte della vita di qualcuno tuttavia non è in grado di condividersi e per questo vive una sensazione di perenne estromissione. Così reagisce invadendo, a suo modo si tramuta in una voyeur, una stalker silenziosa che si aggira nella vita di persone che non la vedono o che la vedono di sfuggita nell’ultimo istante di un click, senza mai notarla.

Non ci sono elementi estetici nella sua scrittura che è austera, a tratti ruvida, respingente, in apparente contraddizione con gli inattesi cambi di direzione verso destra, lì dove, appunto, simbolicamente si va incontro all’ambiente, agli altri. Vorrebbe entrare in relazione ma riesce a farlo solo in una forma epidermica per cui lo scopo ultimo non è più realizzare fotografie e quindi pubblicarle per mostrare il suo talento, ma servirsi del mezzo fotografico per “esserci”, per partecipare della vita di milioni di sconosciuti e poi scomparire dopo lo scatto.

Elementi di stentatezza che si combinano con accelerazioni improvvise del tracciato, sostenute da gesti fuggitivi presenti sulle finali di alcune parole, riportano ad una capacità di osservazione maniacale che prevede pause e una certa pazienza unita allo slancio di concretizzazione dell’azione non appena “il momento” ricercato è pronto. L’appagamento di Vivian si congela nell’istante che subito scivola via e per tale motivo va costantemente e segretamente replicato, diversificandolo, senza svilupparlo per forza in un’immagine da esibire. Il processo creativo della Maier è un processo di interiorizzazione di ciò che il suo sguardo capta e si conclude all’interno della sua solitaria visione, sulla chiusura di un otturatore.

Il doppio volto della creatività: John Lennon

Noto come leader dei Beatles e rivestito tristemente di immortalità nell’universo musicale a causa del suo tragico assassinio a soli quarant’anni, John Lennon conferma la sua imponente personalità anche attraverso la grafia.

L’osservazione di questo scritto fa emergere innanzitutto una prevalenza di ‘nero’ sul ‘bianco’ del foglio che viene occupato con ampiezza e in modo fitto. Questa caratteristica è un chiaro indicatore di capacità espansiva nell’ambiente, di un istinto unito ad una necessità di distinguersi attraverso una presenza densa, che non vuole passare inosservata.

Il filo grafico si srotola con spigliatezza dando vita ad una scrittura prevalentemente legata e ricca di originalità rintracciabili sia nei collegamenti tra lettere, sia nella singolarità formale di alcune lettere che si distaccano dal modello scolastico. L’impeto creativo è dominante e si esplica in un’impulsività espressiva del linguaggio sia scritto che parlato, una spinta a far sentire la propria voce in svariate declinazioni. Le personalizzazioni non inficiano la chiarezza e questa peculiarità riconduce ad una spontaneità di fondo dell’ “uomo” Lennon che, tuttavia, oltre una facciata a tratti piuttosto irriverente cela un’emotività gestita con fatica. Ne sono il segnale alcuni ripassi e cancellature così veementi da far pensare ad una difficoltà profonda nell’osservare l’errore e perdonarselo.

La firma (vergata aggiungendo anche il nome di sua moglie Yoko Ono) è coerente col testo soprastante e conferma la genuinità di una persona che è se stessa sempre, senza artificiosità legate ad un ‘personaggio’pubblico a cui aderire. La ‘J’ fortemente inclinata a sinistra forma un gancio che cerca di appigliarsi al passato, alle proprie origini, alla figura materna.

 

© Chiara Santilio

D’ANNUNZIO, PIRANDELLO E PAVESE A CONFRONTO

Una serata insieme a La setta dei poeti estintiper esplorare le grafie di tre grandi uomini che hanno ispirato riflessioni ed emozioni.

“Ma che cosa ci racconta la grafia dei grandi poeti?”

“Diciamo che non abbiamo scelto tre personaggi a caso. Quando si parla di letterati, personaggi famosi che sono persone di un certo spessore, è piuttosto difficile trovarsi di fronte a delle grafie di facile presa…”

La volontà al servizio dei poveri: Madre Teresa

La grafia di Madre Teresa di Calcutta ci appare estremamente leggibile e di dimensioni medio-grandi. La prima indicazione che ci manda, perciò, è legata ad un io importante, solido, strutturato, che si propone di raggiungere gli altri mediante una comunicazione lineare, che sappia infondere fiducia.

Gli ovali non presentano segnate angolosità, anzi evidenziano un approccio relazionale improntato alla generosità, all’apertura ed all’accoglienza. Le o e le a oltre ad essere grandi sono tondeggianti e quindi ricolme di un potenziale votato ad un benessere di sé che trova realizzazione solo mediante quello altrui.

Ci troviamo di fronte ad un soggetto naturalmente incline alla socialità e che trae dal rapporto umano linfa vitale. Questi aspetti vengono ulteriormente avallati da altri segni quali i legamenti morbidi tra le lettere e l’inclinazione della grafia verso il vettore destro: nel primo caso ci viene suggerita la modalità adottata da Madre Teresa per avvicinarsi agli altri, cioè con dolcezza, amabilità; nel secondo caso, invece, il segno ‘pendente’ sta a significare una propensione generalizzata verso l’ambiente, verso ciò che la circonda. Inoltre, la spinta che la conduce oltre se stessa, a misurarsi su territori non ancora battuti, definisce la sua audacia ed intraprendenza.

Il tracciato appare ben inciso ed ottima la tenuta del rigo, mentre gli allunghi tendono ad essere rattrappiti, con lieve preponderanza di quelli inferiori, all’interno di una grafia che vede come zona prevalente quella centrale. Emerge nuovamente l’attenzione marcata ad agire nella concretezza della realtà senza farsi mai depistare né da ideali astratti, né tantomeno da pulsioni incontrollate dell’istinto.

Parliamo di un personaggio che si esprime attraverso le azioni che riesce sempre a finalizzare grazie ad una forza di volontà ed un’efficacia fuori dal comune.

Il testo presenta un ritmo cadenzato, un movimento deciso, ma compassato unito ad una forma da cui emerge un’attenzione profonda all’estetica del gesto. Ciascuna lettera è tracciata con estrema accuratezza e questa componente se da un lato evidenzia una forte necessità di essere chiara nelle intenzioni e nei modi, dall’altro porta ad un rallentamento del ritmo grafico: procedendo con calma, sembra dirci, si raggiungono gli obiettivi prefissati.

La forma di questa scrittura rimanda, inoltre, al modello calligrafico scolastico fatta eccezione per le ‘m’ ed ‘n’ tracciate, anziché ad arco, a festone: c’è di conseguenza un’adesione di fondo alle regole che non vengono ignorate allo scopo di ottenere ciò che si desidera.

Madre Teresa non manifesta una leadership basata sull’anticonformismo e la sovversione dei modelli di riferimento, ma è rimanendo fedele allo schema che divulga il suo messaggio di pace e presta soccorso a chi è sofferente.

La capacità di restare in ascolto dei bisogni altrui (spazio tra lettere) e tramutare questo ascolto in aiuto tangibile ed immediato, diventa la fucina da cui si sprigiona la sua forza fisica e psichica e la sua caparbietà (tratto definito).

Gli angoli nascosti ed alcuni gesti ammanierati seppur non leziosi, rilevabili all’interno di una grafia prevalentemente curvilinea, sottolineano il suo savoir faire, le sue inclinazioni diplomatiche che la rendono un’interlocutrice straordinaria che sa donarsi e ricevere di rimando.

Il breve tempo di uno scatto: Francesca Woodman

La lettera su “Space” scritta da Francesca Woodman ha molto da raccontarci sulla sua concezione artistica, ma la forma della sua scrittura, di lei dice praticamente tutto.

La grafia è molto piccola e si muove nello spazio del foglio con invadenza ed ariosità: una contraddizione apparente che rivela l’intima essenza della fotografa.

Un “io” fragile, introverso, celato e sfuggente, che ricerca continue conferme aggrappandosi ad un pensiero concentrato e profondo: sembra dire “non credo in me e quindi sono tesa nella ricerca di qualcuno o qualcosa in cui credere”. Da qui, l’esigenza di spaziare, senza mai confondersi; il desiderio di perlustrare il visibile ripiegandosi su se stessa perché l’universo delle idee appare come l’unico veicolo saldo al quale affidarsi. E ancora, capacità di comunicare con chiarezza ed essenzialità, scandagliando la realtà mediante un linguaggio scarno, diretto, che trafigge.

La logica è analitica e denota un’inclinazione alla selettività, alla scomposizione, al gusto quasi ossessivo per i dettagli. Sul piano delle relazioni interpersonali, invece, si traduce in un rigoroso proposito di non mescolarsi con una socialità indistinta, ma di scegliere con attenzione e cautela i pochissimi ‘eletti’ dei quali contornarsi. La selezione è serrata perché altrettanto serrata è la capacità critica ed autocritica sottesa ad un esasperato senso di inadeguatezza ben mascherata.

La tenuta del rigo è vacillante, a volte sale, ma spesso discende fino a tramutarsi, a fondo pagina, in un accenno di rigo “a cascata”: all’incertezza del procedere cede il posto una noncuranza degli argini che alimenta l’impellenza a straripare. Tutto ciò esprime un disagio interiore che, se per un verso si esplica attraverso la canalizzazione creativa, dall’altro stimola tormenti, instabilità umorale e tendenze depressive.

La grafia alterna momenti tensivi e di stasi ad altri in cui si proietta verso destra, cioè verso il futuro e verso gli altri: ciò indica, in positivo, una sperimentazione artistica incessante, ma di contro un’inflessibilità ed una resistenza nell’adattamento a persone e situazioni tale da non venire scalfita neppure quando lo slancio alla richiesta di affetto ed approvazione si fa più presente.

L’autocontrollo fa da scudo ad un’emotività di difficile gestione e ad un’aggressività trattenuta.

Caparbietà ed incisività infondono l’energia per concretizzare il pensiero in un’azione che non è mai impulsiva, ma perennemente ragionata e soppesata sin nei più piccoli particolari.

Le ‘s’ sprofondano nella zona degli istinti a cercare qualcosa che non trovano, mentre le ‘f’ ad inizio parola si sporgono come un amo al di sopra della lettera successiva quasi in una visione dall’alto, distaccata da ciò che osservano, ma in attesa che qualcosa ‘abbocchi’.

Inserti di stampatello maiuscolo all’interno di una grafia in script suggeriscono un estro creativo potente ed in grado di rompere gli schemi proprio nello stesso istante in cui un’affettività irrisolta si mette a nudo di fronte allo spettatore.

Non solo “giallo”: tutte le sfumature di GeorgeS Simenon

Manoscritto del 10.04.1964

Immancabile pipa in bocca e sguardo sornione, il volto di Georges Simenon, scrittore di origine belga fra i più prolifici dello scorso secolo, viene associato istantaneamente alle vicende del noto commissario Maigret. Non gli si renderebbe giustizia tuttavia se lo si valutasse soltanto come autore di gialli.

Simenon, infatti, produsse un numero pressoché incommensurabile di opere che includono romanzi, racconti, libri di memorie oltre ad articoli su svariate riviste e reportages di viaggi. Insomma, fu un instancabile acrobata della penna!

La sua grafia e quindi la persona di Georges, saranno dunque “all’altezza” di ciò che Simenon ha fatto trapelare di se stesso attraverso il filtro della sua narrativa?

L’osservazione di alcuni esemplari di suoi manoscritti, tutti autografati in calce e risalenti ad anni differenti, mostrano aderenza ad un modello calligrafico che prevede l’inclinazione del testo verso destra, in voga soprattutto nei primi decenni del ‘900. A ciò si aggiunga una occupazione del foglio piuttosto ordinata, ma decisamente non “timida”.

Se è vero che lo spazio grafico rappresenta l’ambiente di vita, il nostro scrittore si muove al suo interno con una certa disinvoltura: le dimensioni della grafia (desumibili dalla grandezza media delle lettere ad ovale) tendono al piccolo e questo dato suggerisce riservatezza, capacità di concentrazione del pensiero, inclinazione ad intrattenere un dialogo serrato con il proprio “io” più che manifestarsi verso l’esterno con modi esuberanti. Cionondimeno, non assistiamo ad una castrazione della propria autoaffermazione nel mondo, tra i suoi simili, anzi. Il movimento verso il vettore destro, già prima segnalato, la continuità del tracciato (collegamenti interletterali prevalenti rispetto agli stacchi), i prolungamenti superiori ed inferiori ben presenti, sono tutti elementi che convergono in direzione di una concreta apertura e disponibilità verso il prossimo dettata da un forte impulso all’esplorazione.

Il tracciato è di difficile leggibilità poiché molto personalizzato sia nei profili delle singole lettere sia nei collegamenti tra esse, ma resta spontaneo e spigliato nel suo svolgersi, e mantiene un’attenzione estetica che non scade mai nella rigida affettazione. Sembra di trovarsi di fronte ad un quadro in cui, dietro una regolarità pacificante per chi guarda, si celano universi misteriosi racchiusi proprio nelle pieghe di innumerevoli dettagli che tradiscono una curiosità insaziabile che si autoalimenta attraverso stimoli sempre nuovi. E dove rintracciare sollecitazioni così ricche se non osservando gli uomini ed il loro agire? Partendo dall’analisi su di sé, Georges Simenon si fa portavoce di tutti quei sottili meccanismi psicologici che muovono gli ingranaggi delle vicende dell’umanità.

Manoscritto – Aprile 1966

La sua impronta grafica così priva di orpelli, ma anche oscura, sfuggente, ambigua crea un profilo con connotazioni estremamente originali che non fornisce né una chiave di lettura lineare né tantomeno un’unica chiave di lettura perché la rapidità del suo pensiero si porta dietro l’imprevedibilità e, quest’ultima, apre un ventaglio di possibilità ed interpretazioni.

All’interno di una struttura rigorosa e disciplinata (ritmo cadenzato, assi letterali paralleli, perentorietà di alcuni accessori come ad es. i tagli delle “t) che contiene le spinte istintuali, decidendo come e quando interromperle senza per questo reprimerle (allunghi inferiori tangenti alcune lettere del rigo sottostante), si inserisce una personalità brillante in cui il desiderio di fuga e la digressione dalla routine non hanno meno valore della severità dell’applicazione.

Manoscritto – 1979

Georges Simenon incarna l’anelito alla fusione tra ragione e sentimento, sfiorandone il confine, ma mai risolvendone l’enigma. Ricerca una semplificazione, ma con la coscienza sempre lucida che la storia di ogni uomo, incluso lui, pretende comprensione e non giudizio.

Una grande donna davanti a un grande artista: Frida Kahlo e Diego Rivera

Chi fossero Diego Rivera e Frida Kahlo ormai è universalmente noto. Il nome di Frida, in particolare, porta con sè un connubio di concetti talmente ampio da averla tramutata, nella contemporaneità, in un’icona femminile quasi più potente della fama di cui il suo stesso compagno di vita certo non difettava.

Quando le strade di due artisti si intersecano sconfinando nel legame affettivo è naturale che ne derivi una risonanza che investe la coppia e le sue vicende, generando un unicum pressoché indissolubile tra immagine pubblica e privata. Un’analisi grafologica che accosti le scritture di questi due impegnativi personaggi puo’ consentire di osservarli prima singolarmente nei loro aspetti di personalità più caratterizzanti e successivamente addentrarsi nelle pieghe del loro intreccio amoroso. Perché, per quanti fiumi di inchiostro siano straripati nei carteggi tra Frida e Diego (o con loro conoscenti ed amici) e che ci informano dei contenuti in essi espressi, l’indagine grafologica di alcuni manoscritti puo’ aiutarci a superare delimitazioni troppo nette e restituirci la verità della persona oltre gli abiti del personaggio che indossa.

Certamente, un primo colpo d’occhio, ci mette di fronte a similitudini di superficie tra le scritture dei due amanti ma il tracciato di Frida si presenta estremamente più accurato e rigido specie negli anni giovanili (cfr. lettera risalente al 1922 ed indirizzata ad Alejandro Gomez o un’altra rivolta a Rivera del 1935). Negli anni successivi, queste peculiarità vanno attenuandosi e lì dove la stesura avviene più di getto (cfr. lettera con baci in calce al foglio) l’eccessiva attenzione formale cede il passo ad una più spiccata fluidità che ha dunque un’immediata ricaduta sulla flessuosità del tracciato e personalizzazione dei collegamenti tra le lettere: la scioltezza del proporsi si coniuga con una minore aderenza a modelli precostituiti cui riferirsi.

Per quanto l’assenza di una valutazione dal vivo degli scritti ci impedisca di definire le effettive dimensioni della grafia rispetto al foglio, è tuttavia legittimo affermare che il grafismo della Kahlo manifesta una strutturazione decisa in cui il soggetto scrivente non è mai ritroso o indeciso nell’occupazione dello spazio ovvero dell’ambiente di vita. Le lettere ad ovale, che coincidono con l’ “io”, non subiscono marcate variazioni dimensionali e ne definiscono la tenuta e solidità. E’ molto presente la coscienza di sé e il di Frida è un materico, corporeo in cui la concretezza impregna sia l’espressione del sentimento determinandone la sua schietta manifestazione, sia le azioni quotidiane dell’esistenza.

Il mancato slancio della grafia verso l’alto o il suo radicamento in basso (“allunghi superiori” e “inferiori” con sviluppo ridotto) porta ad una centratura sulla propria persona e all’indispensabilità delle relazioni sociali affinché questa centratura possa conservarsi integra.

La grafia di Diego Rivera evoca quella di sua moglie per l’inclinazione a destra del tracciato, un buon grado di leggibilità, un’occupazione spaziale ampia della pagina, una solidità altrettanto considerevole degli ovali. Entrambi si servono di un codice di leggibilità differente rispetto ad un eventuale destinatario, ma Rivera si mostra più incurante della forma rispetto a Frida che al contrario preserva con più sistematicità l’estetica del suo prodotto grafico. Rivera appare più impetuoso nel procedere (margine destro stretto), pungente (vedi “p”, tagli delle “t”) ed essenziale (assenza di elementi accessori). Anche a lui non manca fiducia in sé e nelle proprie capacità così come una buona propensione a stabilire entusiasticamente legami col prossimo (collegamenti tra le lettere, pendente, tendenza all’ascendenza del rigo).

La parte vitale e trascinante del memorabile incontro di Rivera e della Kahlo è certamente imputabile ad una comune spinta di curiosità verso l’ambiente circostante che ne ha alimentato le evoluzioni artistiche per “assimilazione” sicché lo scambio con l’esterno veicolava quello interno alla coppia, sia sotto il profilo professionale che nel privato. Ma è anche vero che la forte presenza di carattere di entrambi abbia potuto rappresentare un costante attizzatoio di passione tanto quanto di incomprensione e conflitti poiché a nessuno dei due era gradito un posto in seconda linea.

Rivera impose se stesso con la materializzazione “scenica” del suo talento e le sue smaccate trasgressioni, Frida seppe tradurre gli infiniti limiti e sofferenze di cui la vita la gravò in opportunità per creare un’icona al femminile senza precedenti grazie alla sua comunicazione esplicita e priva di vergogne. E Frida, soprattutto, inventò se stessa prima ancora di noi, attraverso la costruzione lucida del suo personaggio, servendosi con disinvoltura del mondo come puro sfondo di rappresentazione e replica di una vita ineguagliabile. La sua.

L’inarrestabilità degli ideali: Martin Luther King

La grafia di Martin Luther King si sviluppa in modo molto accentuato lungo l’asse verticale. Infatti, balzano immediatamente all’occhio gli slanci verso l’alto e verso il basso che caratterizzano il percorso del filo grafico.

Nello specifico, notiamo una preponderanza degli allunghi superiori ed inferiori che sembrano imprimere spinte centrifughe opposte ad un ‘io’ che si trova esattamente al centro: lo scrivente si trova a dover fare i conti con dei principi solidi inculcati nell’ambito familiare legati alle regole, alla morale, agli ideali, e restare contemporaneamente in ascolto delle sue pulsioni più profonde.

Ci troviamo di fronte ad un individuo guidato da passione e traboccante di energia che non disdegna di farsi guidare dall’istinto e dall’intuizione. Allo stesso tempo, però, questa spinta quasi atavica viene governata da un’inflessibilità ed un rigore che consentono di incanalare all’interno di un sistema normato il flusso dirompente dell’agire.

Se si osservano gli ovali, è evidente una certa variabilità delle loro dimensioni anche se poi, nel complesso, la grafia appare medio-piccola.

Questa peculiarità fa emergere una difficoltà che vive la persona nella percezione di sé : sempre in bilico tra due forze contrarie, Martin Luther King fatica a trovare una stabilità interiore, ma questo non gli è certamente di impedimento nel momento in cui stabilisce di portare a compimento i suoi progetti.

Il testo è proteso verso il vettore destro in maniera piuttosto marcata e questa caratteristica conferisce un ritmo cadenzato: c’è un impulso inarrestabile a cercare risposte con e per gli altri, un desiderio acceso di imboccare strade non ancora battute per scardinare il “vecchio” a favore del “nuovo”, un’esigenza di rendere accettabili le proprie idee affinché diventino il trait d’union tra passato e futuro.

La grafia sembra seguire il movimento alto-basso-destra e cioè “idea-concretizzazione dell’idea-sua divulgazione nell’ambiente, nella società”.

Emerge il profilo di un uomo che fa dei sogni il proprio motivo di vivere, ma non resta un pensatore astratto, anzi. Pur manifestando connotazioni di riservatezza del carattere, si getta nella “mischia” con intraprendenza pur di lasciare il segno. Numerosi sono gli elementi grafici che ci parlano della sua volontà ferrea e della sua abilità nell’imporsi: gli allunghi superiori tutti molto premuti, i tagli delle t, la buona tenuta del rigo unita alla già citata progressività.

Acutezza e concentrazione, ottime capacità mnemoniche, propensione all’ascolto e spiccato senso critico completano il suo profilo. Significativo il fatto che nella zona superiore le asole degli allunghi non siano particolarmente piene contrariamente alla zona inferiore nella quale invece accade il contrario: ulteriore riprova che Martin Luther King, pur possedendo un buon eloquio, non era un incantatore che vende fumo. Certamente gli stava a cuore diffondere il proprio pensiero, ma senza l’inganno di chi ricerca il consenso ad ogni costo e con qualsiasi mezzo. Ciò che lo indirizzava erano l’etica e la passione e per questo riuscì ad essere un innovatore, ma mai un trasgressore o un sovvertitore in senso stretto. Se osserviamo, infatti, il testo possiamo notare una tendenza contenuta alla personalizzazione il che favorisce la leggibilità, sottolinea grafologicamente le buone doti comunicative (chiarezza) e quindi l’aderenza ad un modello educativo che, per certi versi, sottrae il soggetto ad un richiamo verso comportamenti spiccatamente anticonformistici. Anche il margine superiore equilibrato denota rispetto per l’autorità senza sentirsi da essa soggiogato.

I ricci di avviamento presenti nella prima parola di quasi ogni rigo suggeriscono dei punti di contatto molto forti con il passato al quale Martin Luther King va ad attingere e ribadiscono lo stretto legame con la famiglia d’origine, quell’imprinting da essa ricevuto e che tuttavia non affievolisce la sete di conoscenza e sperimentazione.

La firma, infine, resta coerente con il resto del testo evidenziando la spontaneità di quest’uomo che non portava mai maschere sia nella sua immagine pubblica che nel privato.

Il messaggio è: si può rompere gli schemi senza infrangere le regole, appellandosi alla fermezza ed all’autenticità dei propri ideali.

 

© Chiara Santilio

Viaggio al centro di un uomo: Jules Verne

Jules Verne è ritenuto uno dei più accattivanti fra gli scrittori di avventura.

I suoi romanzi affrontano delle tematiche talmente rivoluzionarie per i tempi in cui visse che egli fu a buon diritto inserito nel filone fantascientifico. Basti pensare a Ventimila leghe sotto i mari, Viaggio al centro della Terra o Il giro del mondo in 80 giorni, ritenute fra le sue opere di spicco, per comprendere la portata del suo contributo che fu sì letterario, ma non solo.

I protagonisti delle storie tratteggiate da Verne si muovono sullo sfondo di scenari che sconfinano la realtà conosciuta e trascinano il lettore lungo un percorso in cui i colpi di scena si susseguono a ritmo incalzante senza soluzione di continuità.

Come accade per tutti i personaggi di genio indiscusso su cui pesa una fama generata da narrazioni indirette di chi venne a contatto con loro, anche nel caso di Verne possiamo attingere ad alcuni suoi manoscritti per verificare chi lui fosse intimamente e quali caratteristiche gli consentirono di distinguersi nel suo modo narrativo così unico.

La grafia esprime sobrietà poiché manca di elementi “accessori”, è personalizzata ma conserva un buon grado di leggibilità e si colloca nello spazio del foglio in maniera ordinata ed equilibrata.

Se dovessimo trasporre queste caratteristiche sul piano intellettivo, potremmo certamente attribuire a Giulio Verne un’estrema chiarezza di pensiero in cui idee precise e distinte rappresentano il fondamento della sua ricerca di uomo e studioso. Perché ricercare è la parola d’ordine emergente da questa scrittura che sarebbe potuta appartenere senza dubbio ad uno scienziato prima ancora che ad un letterato.

Ben oltre la trama ben congegnata di una storia da porgere al pubblico dei lettori, tutte le informazioni di natura geografica, fisica, chimica, tecnologica, ingegneristica, condensate dal Nostro nei racconti sono ammantate da un gusto per il dettaglio che soltanto una mente avvezza all’indagine approfondita avrebbe potuto partorire. La grafia di Verne, così scarna ma non per questo meno ricca, orientata all’analisi tanto quanto alla sintesi (le lettere alternano tra loro collegamenti e “stacchi), priva di esuberanze che porterebbero ad una dispersione in fantasie o ad una sottomissione agli istinti (“allunghi” inferiori e superiori misurati ed asole poco rigonfie) suggerisce l’interesse del soggetto verso temi di natura concreta, che investono le questioni pratiche della vita dell’uomo. Insomma, l’istinto primario di Verne è rivolto alla ricerca scientifica, ma non si ferma fra le pareti di una stanza. L’intento è di divulgare ciò che la sua estrema curiosità (inclinazione a dx dell’intero testo) lo porta a scoprire anche attraverso la passione per il viaggio. E grazie a questo spirito di esplorazione che non si chiude in se stesso ma si proietta sull’esterno in misura direttamente proporzionale a ciò che rintraccia “all’interno” si estrinseca il talento letterario di Jules Verne.

Se si osservano i margini del foglio, è interessante notare come il sinistro, già di per sè molto ampio, tenda ad allargarsi ad ogni nuova riga, mentre il destro, a dispetto della proiezione complessiva della grafia verso destra, si mantenga più contenuto e regolare. Un’impellenza alla fuga dal luogo di “origine”, ma anche da tutto ciò che è tradizione e passato (sinistra) ed un’urgenza di raggiungere l’obiettivo prefissato senza troppi passaggi intermedi e rallentamenti si abbina con una ponderazione che frena l’azione dell’osare fino in fondo (margine dx, tracciato controllato, assi letterali paralleli, largo tra parole).

Forse proprio per questo motivo, la letteratura diventa pretesto per esprimere concetti eccessivamente “visionari” per il suo tempo, ma accettabili se funzionali ad un racconto inventato. E Verne, infatti, inventa ma non è un sovversivo. La sua originalità grafica non è così spinta da indurci ad ipotizzare un’esigenza di innovazioni radicali tali da mettere in discussione aspetti del pensiero contemporaneo. Tuttavia, pur mantenendosi rispettoso in tal senso, Jules Verne non potè sottrarsi dal comunicare le sue conoscenze, frutto di intensi studi ed esperienze sul campo, mediante le sue storie avventurose e soprattutto senza poter immaginare che ciò che allora sembrava fantascienza nel secolo successivo si sarebbe tramutata in realtà.